Fenomeno Rider | nuovi paladini del food delivery

Tommaso Falchi è un rider e attivista di Riders Union Bologna, una delle organizzazioni nate sul territorio italiano per difendere i diritti dei fattorini del food delivery. Considerati fino a poco tempo fa semplici “macchine” classificate e valutate da algoritmi, l’attenzione verso questa categoria di lavoratori cresce costantemente.

Tommaso Falchi, rider e attivista di Riders Union Bologna

(https://www.fanpage.it/attualita/bologna-licenziato-il-portavoce-dei-riders-dopo-uno-sciopero/)


Da quando il governo spagnolo si è impegnato per primo a regolarizzare il lavoro dei rider, altre battaglie a livello europeo stanno portando miglioramenti su questo tema. Noi di Squiseat abbiamo intervistato Tommaso per capire, anche a seguito dello sciopero del 26 marzo, che ha coinvolto più di trenta città italiane, quale sia nello specifico la condizione lavorativa dei rider e quali siano state le prime risposte ufficiali ricevute.



Quali sono le attuali condizioni di lavoro dei rider?


Le condizioni cambiano da piattaforma a piattaforma e da città a città. Ci sono varie situazioni e vari contesti, però in linea di massima ciò che accomuna noi rider, indipendentemente dal colore del nostro borsone, sono condizioni di precarietà, ricattabilità e sfruttamento. In sintesi: lavoriamo tutti con contratti di prestazione occasionale e siamo inquadrati come lavoratori autonomi senza alcuna tutela, garanzia o diritto. Abbiamo una paga a cottimo in base al numero di consegne e questo alimenta la competizione per cercare di essere più veloci, fare più consegne e riuscire a guadagnare quanto basta per riuscire a portare a casa la giornata. Non abbiamo indennità per i giorni festivi, per il maltempo e per la manutenzione  a carico nostro dei mezzi. Non abbiamo un monte ore garantito, non abbiamo la certezza di quando e quanto lavoreremo, ma lo decide sempre la piattaforma sulla base di un algoritmo. Questo algoritmo calcola una classifica sulla base di alcuni parametri e chi è più meritevole ha più possibilità di lavorare. Fra i vari criteri di valutazione vi sono la maggiore disponibilità a lavorare e la maggiore velocità di consegna. Se però ad esempio ti ammali e resti una settimana a casa, l’algoritmo ti penalizza e il tuo punteggio cala. Persino in tempo di pandemia, anche se considerati lavoratori indispensabili, non abbiamo garanzie in caso di malattia. Molti rider hanno paura di farsi un tampone perché, se positivo, sarebbero costretti a restare a casa, senza una copertura; rimarrebbero senza entrate e calerebbero in classifica.



Quali sono le motivazioni della protesta del 26 marzo 2021?


La protesta del 26 marzo 2021 è stata una grandissima giornata di mobilitazione e di sciopero a livello nazionale. Ci siamo coordinati con altre città e realtà simili alla nostra e dopo un’assemblea generale siamo giunti alla conclusione che fosse arrivato il momento di protestare. Sull’onda della maxi inchiesta della Procura di Milano, che attacca frontalmente le grandi piattaforme per la mancanza di meritocrazia dell’algoritmo e le multa per l’assenza di diritti, ci siamo riuniti per creare il piano di mobilità e organizzare una protesta nazionale il 26 marzo. I rider hanno scioperato in più di trenta città, scendendo in piazza per far valere i propri diritti, per dire che il contratto in vigore tra AssoDelivery (associazione dell'industria del food delivery italiana alla quale aderiscono le maggiori piattaforme) e UGL ci mantiene come lavoratori autonomi, ma non ci riserva alcuna garanzia o tutela o diritto. Il problema è che le caratteristiche dell’algoritmo, che stabilisce dove iniziare il turno, come effettuare la consegna e quanto tempo impiegare, indicano un rapporto di subordinazione: non siamo lavoratori autonomi, ma pedine di un algoritmo che ci controlla con poteri disciplinari quali il posizionamento in classifica. Il giorno della protesta a Bologna abbiamo lanciato un presidio in Piazza del Nettuno, aperto a tutta la cittadinanza, in linea con il nostro slogan “Non per noi, ma per tutti”. Il lavoro del rider è diventato oggi un simbolo di precarietà e, consapevoli della visibilità e attenzione ottenute, cerchiamo sempre di coinvolgere altre categorie di lavoratori. In piazza si sono unite a noi più di 400 persone, tra cui lavoratori della logistica, dello spettacolo e molti precari. A microfono aperto abbiamo fatto diversi interventi e successivamente ci siamo spostati al McDonald di Via dell’Indipendenza, e lì davanti abbiamo praticato un blocco delle consegne per un paio d’ore. Abbiamo lanciato un appello alla città chiedendo di non ordinare, praticando uno sciopero del consumo. Ciò ha funzionato e infatti abbiamo ricevuto numerose foto di persone che quel giorno rilanciavano i nostri hashtag dalle loro cucine scrivendo: “oggi non ordino, sto dalla parte dei diritti”.



Quali risposte ci sono state per adesso a livello governativo?


Innanzitutto, il fronte delle piattaforme si è spaccato. JustEat è uscita da AssoDelivery e ha aperto un tavolo di confronto che ha portato alla sottoscrizione di nuovi contratti subordinati. Questo è stato un primo risultato. Varie sentenze e inchieste stanno dando ragione ai rider, confermando che non siamo lavoratori autonomi e indipendenti, e che abbiamo diritto a tutele piene. Il Ministro del Lavoro Orlando ha convocato un tavolo con tutte le parti, grazie al quale abbiamo firmato un protocollo contro il caporalato. È un primo passo importante: sebbene non sia una cosa risolutiva, contribuisce a prevenire determinate situazioni che invece sono accadute in passato. Tale accordo sul caporalato serve a mettere paletti sulla questione appalti e ad avere una lista di controllo rispetto all’impiego di terzi. Da questo primo accordo si può innescare un meccanismo per introdurre successivamente nuovi tavoli di discussione su diritti, salute e sicurezza. JustEat è stato il primo a concedere ai rider alcuni miglioramenti: inquadramento all’interno del contratto della logistica, una paga più elevata e una serie di indennità sul monte ore, raggiungendo condizioni più favorevoli per le diverse categorie di rider.



Cosa potrebbe fare Squiseat per allinearsi su questo tema così importante?


Seppure al momento privi del servizio di consegna a domicilio, ci rendiamo conto della centralità del food delivery nel nostro ambito. Il nostro team sta lavorando e analizzando le diverse possibilità per garantire al cliente un delivery sostenibile sia dal punto di vista ambientale che da quello economico: piccoli accorgimenti quali le prenotazioni anticipate e il giusto compenso potrebbero garantire trasparenza per il cliente e una sensibilizzazione al tema della sostenibilità ambientale.